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Claudio Beghelli
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Abbiamo incontrato il 15 luglio 2004, lo sceneggiatore del film “Il Giardino delle Esperidi” Claudio Beghelli, ecco cosa ci ha detto:
Edmondo Filippini: Che corso di studi sta frequentando in questo momento?
Claudio Beghelli: Attualmente sono iscritto alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Bologna, ma sono in una epoca di cambiamento, un periodo di transizione.
Mi interesso al cinema e alla drammaturgia teatrale sin dall’età di 15-16 anni.
L’orizzonte di senso della mia formazione rimane sempre l’ambito filosofico e letterario, ma vorrei tentare la professione dello sceneggiatore e drammaturgo. Questa è la mia massima aspirazione. Ma comprendo di dover lavorare e studiare ancora molto per condurre a compimento questo progetto: sono ancora un apprendista, mi considero un inesperto. È già tanto se riesco a guardare un film con attenzione, in maniera non ingenua.
E.F.:Come sei stato coinvolto in questo progetto? La tua collaborazione con questa produzione cinematografica è avvenuta per caso, oppure eri già coinvolto in un ambito più strettamente cinematografico?
C.B.:Un collega di Università, un caro amico mi presentò ad Alessandro Capitani, una sera che andai a trovarlo; i nostri rapporti sono stati, sin dall'inizio, molto cordiali; e lui, proprio a partire da questa simpatia e stima reciproca, cominciò a parlarmi, considerando il nostro comune amore per il cinema, del suo lavoro: ho molto apprezzato il suo primo cortometraggio "La parte mancante", e trovo interessante la sua tesi di laurea su Luigi Kuveiller, che - a mio parere - è, insieme a Storaro, il più grande direttore della fotografia italiano.
In questo contesto, disse anche di un nuovo progetto filmico a cui stava lavorando, con il supporto produttivo di Andrea Kerkoc e dell’Avocado Pictures; mi fece leggere la prima versione del soggetto di quello che ora è Il giardino delle Esperidi, domandandomi se mi avrebbe fatto piacere, in qualche modo, collaborare con lui e sviluppare insieme la sceneggiatura. Accettai di buon grado ed anche lusingato: fui subito molto grato ad Alessandro per la fiducia che mi accordava, pur conoscendomi da pochissimo e pur non avendo mai avuto modo di verificare la mia effettiva competenza in fatto di scrittura cinematografica. Inoltre, Andrea Kerkoc e Alessandro Capitani mi hanno offerto - direi: regalato - , insieme alla loro preziosa amicizia, l'opportunità e l'occasione di partecipare alla realizzazione di un progetto importante e di qualità. Diciamo pure che "Il giardino" è la mia prima sceneggiatura vera e propria. Tutto quello che ho scritto in precedenza erano soltanto tentativi, sperimentazioni, magari anche ambiziose, ma si trattava pur sempre di esercizi di stile. Quando Alessandro mi raccontò l'idea iniziale e fondamentale del suo film, ne fui affascinato e commosso. Mi convinsi che l'ambientazione del corto - così particolare, suggestiva e originale - potesse offrirci delle valide occasioni narrative.
E.F.:…A questo proposito, i personaggi nell’idea primigenia, sono sempre stati la figura di un vecchio e di due bambine gemelle, o l’idea si è evoluta prendendo poi altre strade, come è nato, insomma, il plot definitivo?
C.B.:…la situazione drammaturgica da cui siamo partiti prevedeva 2 bambine che, nella atmosfera surreale della discarica, occupano il tempo giocando (o forse lavorando?), trasferendo rifiuti, ferraglia, rottami, per costruire, un cumulo sulla sommità del quale vi è una culla che accoglie un bambino di colore. L'idea, come ho detto, era molto buona, permetteva di giocare il film su un registro puramente espressionistico, onirico, visionario, allegorico ma, così com'era, mancava di uno sviluppo drammatico: pensammo, allora, di aggiungere il personaggio del vecchio mendicante-incantatore; a questo punto, la situazione narrativa veniva a complicarsi, permettendoci di inserire nuovi elementi, quali: la colomba, la rosa, il parto, il mappamondo…
E.F.:Rimanendo sempre nell’ambito del film, fino a che punto la tua formazione ha influito, o pregiudicato, alcune scelte, cioè, la tua formazione filosofica ha implicato delle scelte nello sviluppo di questo film?
C.B.:Mi trovo un poco in difficoltà a rispondere. Lo stile di vita, il modo d'essere di una persona, ciò che un uomo pensa, progetta e crea è, in qualche modo, la conseguenza della sua formazione culturale È ovvio. Senz'altro io applico alla realtà di cui sono partecipe categorie e strutture cognitive di tipo prettamente filosofico. Se fossi stato un tecnico o uno scienziato o - per dire - un ingegnere civile probabilmente non mi sarei mai trovato a scrivere qualcosa come "Il giardino".
E.F.:…Mi riferisco soprattutto alle frasi del film come “Qui Dio è un ipotesi improbabile”, la culla col bambino di colore, le gemelle.
C.B.:…Le gemelle, quest’idea molto efficace, è di Capitani. I miei interessi filosofici e letterari influiscono certamente sul mio modo di concepire il racconto filmico.
E.F.: Hanno influito in che modo però?
C.B.: Ho cercato di mettere a servizio del film la mia preparazione umanistica, tentando di capire quali spunti e temi potessero entrare nel progetto. La frase di Dio, cui tu ti riferisci, è stata pensata durante una - per me memorabile - conversazione con Giorgio Celli, che - oltre ad essere l'interprete principale del film - ha collaborato con grande disponibilità alla sceneggiatura. E devo dire che il suo contributo creativo e poetico alla realizzazione di questo film è stato senza dubbio determinante - Quella frase è, in realtà, una citazione re-inventata. Il filosofo tedesco Karl Loewith, discutendo del tema nietzscheiano della morte di Dio, ebbe ad affermare: in seguito all'avvento del nichilismo, Dio, in Europa, è divenuto una ipotesi troppo estrema. Siamo partiti da qui, e poi la frase si è mano a mano trasformata.
E.F.: Ho capito…
C.B.: Ma guarda, io mi sento comunque un po’ a disagio. Credo che i discorsi critici portino sempre a più o meno felici malintesi, come diceva Rilke. E poi penso che sia difficile e poco più che inutile fare la parafrasi di un’opera; le creazioni d’arte e le forme di pensiero originali, una volta poste in essere, sono autonome anche rispetto ai loro artefici: si spiegano e difendono da sole: la loro storia è la sola forma di esegesi che tollerano, il loro destino è l'unica forma di critica che ammettono; come sosteneva Foucault. Noi viviamo teorizzando, congetturando, costruiamo sovrastrutture critiche e interpretative di cui le opere, in sé stesse, non hanno necessità alcuna. Certamente, l'autore è responsabile di ciò che produce, e perciò deve avere il coraggio, la lealtà e l'onestà intellettuale di dichiarare senza ambiguità le proprie intenzioni, deve prendere posizione in maniera chiara ed inequivocabile. Ma resta fermo che la creazione artistica , una volta avviata, obbedisce ad una sua legge interna, inventa da sé il proprio centro, si orienta autonomamente verso il proprio senso, sempre promesso e mai definitivamente raggiunto . L'arte esiste nel suo farsi, nel suo autoprodursi; ed è perciò che il senso di un progetto artistico è sempre sospeso e non è mai univoco. Ma sto divagando. Volevo dire: mi pare una cosa priva di senso commentare la propria opera.
E.F.: Parlando quindi di questo, ti trovi d’accordo con l’idea che traspare dal film, oppure ti trovi in disaccordo su alcuni punti della realizzazione e su ciò che Capitani ha fatto alla fine trasparire dal film?
C.B.: Ci sono state, a volte, delle divergenze di opinione tra Alessandro e me. Ma è giusto e necessario che sia così. Il lavoro si è sempre svolto in un clima di rispetto reciproco e correttezza. Ognuno di noi aveva un ruolo ben preciso, definito e circoscritto all'interno del progetto, e ciascuno era sempre molto attento a non invadere l'ambito di competenza dell'altro. Capitani ha diretto. Giorgio Celli e il sottoscritto hanno sceneggiato. Ognuno ha dato il suo contributo. Abbiamo fatto del nostro meglio, credo. E siamo stati contenti di lavorare insieme. È stato un buon simposio artistico. Il girato è piuttosto fedele alla sceneggiatura. Per quanto mi riguarda, sono soddisfatto. Ritengo che il film sia efficace e convincente. Penso che Alessandro abbia trovato delle soluzioni stilistiche e visive veramente ottime per questo lavoro.
E.F.: Dal film traspare anche un aspetto vicino all’ecologia e all’assenza di Dio, secondo te, dov’è la novità sul modo di trattare questo materiale di cui è stato già detto moltissimo, e spesso troppo?
C.B.: Inizialmente, volevamo scrivere un film che, senza essere didascalico, avesse un significato ecologista; poi, la drammaturgia si è complicata, le metafore e le allegorie, hanno cominciato ad infittirsi, riferimenti filosofici e letterari si sono moltiplicati; così, quando abbiamo terminato di scrivere, ci siamo accorti che il film si muoveva in una molteplicità di significati poetici ed esistenzialistici che non avevamo neppure ipotizzato di affrontare in questo lavoro.
E.F.: Perfetto, credo che questo sia tutto, la ringrazio per il tempo che ci ha concesso, signor Beghelli, arrivederci.
C.B.: Grazie a voi, buona giornata.
L’intervista a Claudio Beghelli è un escusiva ©Andrea Kerkoc
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