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Robert J.Flaherty
Robert Flaherty, nato il 16 febbraio del 1884 sulle Iron Mountain del Michigan in USA, era quello che si può definire, un uomo dei suoi tempi, cartografo, esploratore, cacciatore e ricercatore di minerali nella Baia di Hudson, ovviamente benestante di famiglia, con l'hobby di filmare le terre che attraversava nei suoi viaggi.
La sua particolarità era l’anima che metteva nei suoi singolari documentari, un modo nuovo e rivoluzionario per riprendere paesaggi, usi e costumi dei luoghi da lui visitati.
Ha il suo grande momento quando nel 1920, una società franco- canadese di pellicce, gli propone l’idea di girare un film pubblicitario sulla vite degli eschimesi, Flaherty ne trae un vero capolavoro che gli frutto un successo sensazionale di pubblico, facendo scoprire un nuovo genere cinematografico, il documentario
Il film, Nanook of the North – Nanook l’eschimese, girato in due, lunghi, anni di pellegrinaggio sulle punte estreme del Circolo Polare Artico a temperature proibitive, diede modo al regista di tirare fuori tutta la sua vena poetica e la sua passione per la natura, oltre che una perizia tecnica che non gli si conosceva, infatti il film è un estenuante lavoro di montaggio che richiede una conoscenza massiccia e raffinatissima del mestiere ed invece che dare al pubblico i particolari più inusuali della vita degli eschimesi, descrivendoli come diversi e quindi incivilizzati, Flaherty, riesce a regalare la descrizione di una società alternativa alla nostra, tanto affascinante e complessa da non doversi piegare di fronte a nessuno, una civiltà con tecniche proprie, come la costruzione di un igloo, oppure il loro modo per ripararsi dalla tempesta.
Grazie a questo inaspettato successo, nel 1923, il regista parta per Samoa, realizzando un altro grande documentario sulla vita dei maori Moana, altro documentario anti-esotico che lascia che i ripresi diventino i veri protagonisti della loro vicenda, senza calcare la mano su sensazionalismi o aspetti barbari della loro società.
Il documentario è un’altra pietra miliare per il regista, ma pubblico e produzione non la pensano così, si vede costretto quindi a girare con Van Dyke, esperto di paesaggi esotici, nel film “White shadows of the south seas”, e con il ben più meritevole “Tabu” Murnau, anche se litigò con entrambi ed abbandonò la lavorazione a metà di entrambi i film.
Flaherty ripudiò entrambi i film, di cui non riconosceva la drammatizzazione e la banalità con cui il primo era stato girato e la diversità dalla sua idea originale del secondo.
Finalmente il capolavoro della sua carriera si avvicina, abbandonato tutto e tutti e tornato in patria, Flaherty dirige in patria “The man of Aran – L’uomo di Aran” (1934), un film meraviglioso, Gran premio alla Mostra di Venezia, che portò il suo nome in giro per tutto il mondo, ritratto della vita di pescatori, per cui Flaherty è riuscito a documentare anche una tecnica di pesca che era caduta in disuso da più di cento anni. Ma i rapporti con i produttori, a quanto pare, non erano destinati a rimanere stabili, soprattutto quando il suo ennesimo film, Elephant boy, viene trasformato in un colossal esotico.
Gli anni passano e la guerra si fa sempre più vicino, Flaherty decide di tornare di nuovo in patria per girare The Land, nella dust-bowl, fra emigranti contadini, il film però non venne mai proiettato, ne tanto meno distribuito, forse perché giudicato troppo poco patriottico dal governo che l'aveva commissionato
Per tutto il periodo del conflitto mondiale, il regista se ne rimane in disparte, e solo dopo anni, una compagnia petrolifera gli commissiona “Louisiana story” nel 1947, l’ultimo film di questo regista atipico rivela uno stile, sempre fedele a se stesso, ma in qualche modo diverso dal solito modo di girare i suoi documentari, infatti tutta la vicenda di distruzione della natura, di cambiamento di flora e fauna per l’avvento dei petrolieri su una giungla, viene visto in soggettiva di un ragazzo, che mescola con sapiente arte scetticismo e curiosità per i nuovi arrivati, ben sapendo che la vita cambierà per tutti, per lui, per gli operai e per l’ambiente selvaggio e incontaminato che gli circonda. Girato con 100000 metri di pellicola, il tema centrale del film ne è risultato che il rapporto fra l'uomo e la natura è invertito nella società industriale: ora è l'uomo che aggredisce la natura. Questo fu il suo testamento spirituale e artistico, se escludiamo "Titan", poiché si spense 4 anni dopo, il 23 luglio del 1951 in Vermont, Montana, USA

La sua filmografia è:
Titan: Story of Michelangelo, The (1950)
Louisiana Story (1948)
The Land (1942)
Elephant Boy (1937)
Man of Aran (1934)
Art of the English Craftsman (1933)
The English Potter (1933)
The Glassmakers of England (1933)
Industrial Britain (1933)
White Shadows in the South Seas (1928) (non accreditato)
The Twenty-Four-Dollar Island (1927)
Moana (1926)
The Potterymaker (1925)
Nanook of the North (1922)