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Marlon Brando
Il più grande attore della storia del cinema americano, e per certi versi, alcuni lo definiscono il più grande di tutti, si è spento giovedì 1 luglio ’04 all’età di 80 anni.
È stato il più importante esponente del metodo Stanislavsky nell’Actor’s Studio, in grando di rendere ogni più piccolo anfratto psicologico della sceneggiatura, era in grado da solo di tenere l’intero film sulle sue spalle, anche quando questi era mediocre e sapeva dare spessore a ogni suo personaggio.
Detto così sembra quasi un mito, ed in effetti lo era davvero, nessuno come lui si era calato così intensamente nelle parti interpretate al punto di viverle anche sul piano fisico e morale fuori dal set.
Era nato ad Omaha, in Nebraska, il 3 aprile del 1924, figlio di un commesso viaggiatore e di una attrice di seconda linea, aveva tentato inutilmente la carriera militare senza trarre alcun vantaggio se non farsi espellere per l’insofferenza alle regole ed a causa della sua indisciplina.
Si trasferisce a New York e frequenta un corso di arte drammatica debuttando nel 1944 a Broadway ed il suo primo trionfo l’ottiene tre anni più tardi con il personaggio di Stanley Kowalski, nel dramma di Tennessee Williams "Un tram che si chiama desiderio", diretto da Elia Kazan, ed è lo stesso Kazan che nel 1950 gli permette di frequentare l’Actor's Studio che gli permette di diventare grande.
Il suo primo film è "Uomini" di Fred Zinneman, nel quale interpreta un paraplegico reduce di guerra. Come gli è stato insegnato, Brando si chiude per un mese a studiare il comportamento dei disabili in un ospedale specializzato.
Grazie a questo ed alle sue capacità, impressiona tutti per la sua interpretazione esasperata, di grande fascino e magnetismo, trasmettendo il dolore e la virilità ad un livello fisico che nessun altro era riuscito a portare sullo schermo.
Ma il vero successo gli arriva l'anno dopo, sempre grazie al testo che lo ha reso celebre in teatro, la versione cinematografica di "Un tram che si chiama desiderio" infatti lo proietta direttamente nell'immaginario femminile di un'intera generazione.
Brando è qui di un fascino senza pari ed il suo personaggio coniuga caratteristiche contraddittorie come essere allo stesso tempo duro e profondamente sensibile, ribelle e anticonformista, unito tutto ad una bellezza disarmante, in un ruolo che non poteva passare inosservato.
Con questo ruolo inaugura però anche il suo primo rapporto difficile con set e premi, infatti quell’anno gli viene preferito il Bogart della “Regina d’Africa” e dovrà aspettare ancora quattro anni e quattro nominations consecutive per ricevere finalmente il suo primo riconoscimento con "Fronte del porto" del1954, ancora una volta diretto da Elia Kazan per il ruolo di Terry Malloy e sempre grazie a questo conquista anche il premio come miglior attore al Festival di Cannes.
Sempre nel 1954 interpreta un giovane ribelle ne "Il Selvaggio" di Laszlo Benedek e diventa il simbolo di una generazione sbandata e disillusa. Per prepararsi all'interpretazione frequenta bande giovanili come quelle descritte nel film arrivando a finire in prigione per una notte.
Gli anni '60 segnano l’inizio di un declino e di una certa perdina del fascino che aveva nella giovinezza, gira film che alternato ruoli bellissimi a film mediocri che solo la sua presenza riesce a salvare, Chaplin lo scegli per il suo ultimo film “La contessa di Honk-Kong”, dove i due litigheranno sul set, seguito da “Gli ammutinati del Bounty”, sempre un mezzo fiasco al botteghino nonostante una interpretazione titanica del ruolo del Capitano Christian e si trova anche a dirigere il suo unico film come regista (dopo che alla sceneggiatura aveva partecipato anche Stanley Kubrick non accreditato) dal titolo"I due volti della vendetta" risalente però agli inizi del ‘60, oltretutto gli prende una specie di vizio creando una serie infinita di problemi sui set che frequenta e alle produzioni che lo ingaggiano infatti nel 1969 sembra che abbia esasperato sino ai limiti estremi Gillo Pontecorvo durante le riprese del film "Queimada", tanto che il regista si rifiuterà poi di riconoscere la pellicola.
Negli anni '70 Marlon Brando ha una completa rinascita, nel 1972 entra ancora una volta nella storia del cinema con l’interpretazione di Don Vito Corleone nel film "Il Padrino" di Francis Ford Coppola. Durante il provino Brando improvvisa l'ormai celebre trucco per "creare" Don Vito: capelli tenuti indietro con la brillantina e lucido da scarpe e guance imbottite di Kleenex.
Per la parte riceve ancora una volta l'Oscar ma, con una mossa a sorpresa, si rifiuta di ritirarlo e, per protestare contro il modo in cui il governo USA tratta gli indiani, manda al suo posto una giovane Sioux.
Nello stesso anno recita nel film scandalo "Ultimo tango a Parigi" di Bernardo Bertolucci, pellicola accusata di qualsiasi cosa tranne di ciò che effettivamente era, cioè un’opera d’arte che, fra le sue disavventure, si vede anche bruciata sulla pubblica piazza.
Il ruolo lo restituisce alla figura di sex symbol per un’altra generazione ancora, nonostante gli anni siano ormai passati.
Nel 1979 è ancora la volta di un altro grande ruolo, quello del colonnello Kurz in "Apocalypse Now" di Francis Ford Coppola. La sua apparizione nelle fasi finali del film è agghiacciante, sorprendente, l'attore appare del tutto irriconoscibile e tutti i critici gridano al miracolo, qualcuno lo osanna come il miglior attore di tutti i tempi, ma finito di girare il più grande capolavoro di Coppola l'attore si ritira dalle scene per circa un decennio: in seguito apparirà solo in alcuni cameo.
Si ricordano le sue ultime importanti interpretazioni nei non certo disprezzabili "Don Juan De Marco maestro d'amore" del 1994, con Johnny Depp e "The Score" del 2001, con Robert De Niro e Edward Norton.
Il resto sono solo alcuni film dove un qualsiasi regista lo ingaggiava, con casche di un miliardo a minuto, si dice, per dare lustro a questa o a quell’altra pellicola.
Brando è stato perseguitato da problemi legati alla sua famiglia, problemi che lo hanno portato sulla soglia dell’autodistruzione, come il primo figlio che assassina l'amante della sorellastra Cheyenne ed subisce la condanna al massimo della pena, dieci anni, nonostante il padre testimoni in suo favore, Cheyenne che in seguito si è suicidata impiccandosi, forse per questo che si è completamente lasciato andare. Arriverà a pesare qualcosa come 160 Kg e i giornali scandalistici rincareranno la dose mettendolo spietatamente a confronto con le immagini dei tempi d'oro. Non dimenticando anche la sue molte donne, come Pina Pellicier che si suicida nel 1961, mentre Rita Moreno ha tentato due volte senza successo e ben otto riconoscimenti di paternità.
Più volte sul finire di questi ultimi anni si è trovato a dichiarare che la sua vita è stata un interminabile cammino di dolore, anche se intervallato da alcuni momenti di felicità.
Noi lo vogliamo ancora ricordare con quella sua canottiera o il cappello e giubbotto nero da teppista, che ha fatto sognare un’intera generazione e che ora è tramontata per sempre.
La nostalgia un po’ ci assale in questi casi, ma siamo grati che siano esistite persone in grado oggi di farci ricordare d’aver vissuto momenti così belli.

Per capire la grandezza di Brando è significativa una battuta di Al Pacino, poi divenuta celebre, che ha recitato con lui ne "Il padrino": "Recitare con lui è come recitare con Dio".